“Abbiamo mantenuto la tradizione del Sagrantino come vino speciale: il vino della festa, non quello ordinario, da pasto”. Marco Caprai pronuncia con un certo orgoglio queste parole, mentre conduce una delle Masterclass promosse dalla prima edizione di “Vini d’Abbazia”, a Fossanova.
Già nel 1928, nella mostra dei vini dell’Umbria, il Sagrantino veniva inserito nella categoria dei vini speciali, nelle sue due tipologie: dolce e secco. Ma le sue radici sono ben più antiche, ed hanno a che fare con il ruolo svolto dalla Chiesa nel produrre vini di qualità. C’è la radice “sacer” (sacro), infatti, nel nome, testimoniata anche dalla presenza, a Montefalco, del primo documento su una terra vitata data in affitto dall’Abbazia di Sassovivo, sulla via Lauretana.
“La maggiore estensione dell’Impero Romano corrisponde alla maggiore estensione della mappa della diffusione del vino”, sottolinea infatti Caprai, ricordando che Roma era in grado di rifornire di vino tutti i suoi territori, e il Veneto era già da allora l’area più produttiva. E’ merito dei benedettini l’aver ripristinato tutto quello che era andato in rovina con il crollo dell’Impero Romano. Alla fine del Quattrocento, a Montefalco, viene fondato il Terz’Ordine Francescano, caratterizzato dalla povertà assoluta, e in questo angolo dell’Umbria arrivano persone da tutto il mondo, insieme al germe del Sagrantino. “Una varietà che sembra caduta dall’alto”, rivela Caprai: “abbiamo fatto tante ricerche, ma non siamo mai riusciti a trovare un parente”. All’inizio del Cinquecento compare per la prima volta la parola Sagrantino, come vino della festa, la cui presenza è documentato anche da uno degli affreschi che Benozzo Gozzoli traccia sulle mura della Chiesa di Montefalco nel 1451, dove compare una bottiglia di vino rosso – diverso da quello bianco che in genere si usa per la Messa – insieme ad una crostata.
Ad Assisi, inoltre, troviamo il primo documento ufficiale sul Sagrantino, dove si legge che c’era l’uso di fare vino “da uva sagrantina in botte carrata”, una botte da trasporto che fin dal nome evoca le nostre attuali barriques. Una storia antica che si fonde, dunque, con quella presente, portata avanti da una tradizione di famiglia. E’ il 1971, infatti, quando il padre di Marco, Arnaldo Caprai imprenditore tessile di successo, acquista quarantacinque ettari a Montefalco per realizzare il sogno di condurre un’azienda agricola per la produzione di vino. Progressivamente, maturata la convinzione di valorizzare le enormi potenzialità del vitigno autoctono Sagrantino, vengono annessi alla tenuta i migliori terreni adiacenti.
Dal 1988 la conduzione aziendale passa nelle mani di Marco, che con grande passione dà l’impulso decisivo per l’affermazione dei vini della tenuta attraverso una conduzione di tipo manageriale e avviando la collaborazione con professionisti del settore e con Istituti di ricerca, sia in campo agronomico che enologico. Dal ’91 l’Azienda è sottoposta ad un enorme sforzo: acquisizione di nuove vigne, sperimentazione, ammodernamento tecnologico. I risultati si vedono già nel breve termine: si individuano i cloni e le forme di allevamento migliori, le fermentazioni più adatte, i legni per un processo di affinamento ottimale. La selezione ’93 del Sagrantino di Montefalco (che celebra il venticinquennale dell’azienda) inserisce Marco di prepotenza tra i grandi produttori di vino italiano.
Nelle ultime cinque edizioni la Guida ai Vini d’Italia edita da Gambero Rosso e Slow Food ha conferito al Sagrantino 25 Anni il prestigioso premio Tre Bicchieri. A questo si aggiungono altri prestigiosi riconoscimenti, tra i quali le super tre stelle della Guida Veronelli e l’Oscar del Vino come Miglior Produttore conferito dall’Associazione Italiana Sommeliers.
“Dal 1995 stiamo raccogliendo i frutti di un lavoro intenso fatto di investimenti importanti e di ricerca, per offrire il meglio dei nostri prodotti”, spiega Marco mentre a Fossanova fa degustare prima il Rosso di Montefalco e poi il Collepiano, un Sagrantino di Montefalco DOCG, 22 mesi in barrique di rovere francese e almeno 6 mesi in bottiglia.
Un vino potente e al tempo stesso elegante, con un grande tannino che a pensare al futuro. “L’obiettivo di oggi è quello di trenta anni fa”, assicura Caprai: “il lavoro costante e meticoloso a favore della qualità, la ricerca e la sperimentazione di nuove tecniche agronomiche ed enologiche, la diffusione della cultura e della tradizione del territorio di cui l’azienda si fa interprete”.
Michela Nicolais