Casale della Ioria: sette assaggi per gustare “il tempo nel bicchiere”

La Ciociaria è uno dei territori più antichi della viticoltura italiana, eppure rischia di essere sconosciuto ai più: non solo dal punto di vista vinicolo, ma soprattutto come vera e propria provincia culturale che affonda le sue radici in quel “Novum Latium” di cui l’Impero Romano ha posto le basi.

E’ partita proprio da qui, dalla terra omaggiata già da Gregorovius nel 1856 in virtù della comodità delle “ciocie”, le tipiche calzature dei contadini e dei pastori dell’epoca ammirate per la loro comodità, la serata di degustazione promossa dall’Onav di Roma per presentare il Cesanese e gli altri vini autoctoni della Ciociaria. A raccontarli, insieme ad Alessandro Brizi, delegato Onav di Roma e giornalista esperto del settore, che ne sviscerava il potenziale all’assaggio è stata Marina Perinelli, proprietaria insieme al marito di Casale della Ioria, cantina storica del Lazio ormai arrivata grazie ai suoi figli alla quinta generazione e diventata la “patria” di una delle più alte espressioni del Cesanese, il vitigno a bacca rossa più importante della regione.

La zona è quella del Cesanese Docg di Affile, coltivato tra Anagni, Paliano ed Acuto, ad appena 50 chilometri a sud est di Roma. Il terreno – 38 ettari di vigneti a 400 metri sul livello del mare incastonati tra boschi e uliveti – è fatto di argille bianche e rosse, che godono di un’ottima ventilazione e al di sotto delle quali c’è un substrato di roccia. La stessa roccia solida della montagna di cui è fatto il Casale che dà il nome alla tenuta, e che per due secoli e mezzo, a partire dal Settecento, ha dato ospitalità a coloro che lavoravano la terra.

L’avventura di Marina e di suo marito Paolo, proveniente da una famiglia di agricoltori, comincia nei primi Anni Ottanta quando Paolo, nato a Roma, ingegnere, decide di fare qualcosa di più per la tenuta di famiglia. A quei tempi non andavano certo di moda il Cesanese e i vitigni autoctoni, e la strada intrapresa da Paolo si è presentata subito in salita: reimpiantare i vigneti vecchi, quelli prima della guerra, per dimostrare che si poteva investire nel Cesanese e tirarne fuori il meglio che questo vino ruvido ma sorprendente potesse offrire. E’ nata così l’idea di fare microvinificazione in vigna, identificando alcuni cloni, uno dei quali è stato poi reimpiantato tutti gli anni in tutti i vigneti.

“Eleganti, sottili, cesellati nelle loro caratteristiche”

così Brizi ha definito i sette calici degustati della Cantina della Ioria, partendo da uno Spumante 100% Cesanese di Affile Metodo Charmat, 18 mesi in acciaio, pressatura soffice, affinato con le bucce. “E’ l’uva più imparentata con le alveole romane”, ha spiegato Marina: “Abbiamo voluto fare uno spumante in cui il Cesanese fosse riconoscibile”, come testimonia il sentore di frutti rossi, ribes, ciliegia in questo spumante rosato di buona struttura e ottima qualità, caratteristica del resto di tutta la gamma dell’azienda vinicola.

Il secondo assaggio si è rivelato una scoperta: si tratta di Espero, etichetta che dà il nome ad un vitigno autoctono, l’Olivella nera, scovato da Paolo nelle sue peregrinazioni tra i contadini nella zona di Esperia: un vino leggiadro, floreale, che sa di fragoline di bosco e di karkadè, dotato di una ricchezza aromatica prorompente grazie alla nota agrumata molto forte e alla componente tannica molto lieve.

Si passa poi a Zero S, un Cesanese senza solfiti non filtrato e giocato sui profumi: se ne producono circa 6mila bottiglie l’anno, a causa della cura necessaria ad un’uva che abbia bucce perfette e alla pulitura maniacale che va riservata alle superfici con cui viene a contatto.

Camponovo è invece il vino di base della Cantina, un Cenanese 100% di Affile la cui produzione è iniziata con i vigenti nuovi dei primi Anni Ottanta: ciliegia, amarena, frutti di bosco, prugne ne formano il bouquet, accompagnato da una nota terrosa tipica del Cesanese e al richiamo alla genziana e alla ruta.

Il Cesanese del Piglio Superiore Docg Tenuta della Ioria, annata 2018, spicca per le sue note aromatiche e la percezione di terra, di argilla, mentre la frutta matura si accompagna alle note caramellate e di sciroppo. Una nota di foglia di thé, unita al tabacco e al sentore di spezie dolci come la noce moscata o il chiodo di garofano completano l’assaggio. Il filo conduttore, anche questo appartenente a tutti i vini della cantina, è la freschezza, con un tannino ben equilibrato che dà longevità al vino.

Il Trés è un rosso di Anagni frutto di un blend tra Merlot, Cabernet e Cesanese. Il risultato è un prodotto molto equilibrato tra i tre vitigni: dimostrazione del fatto che, secondo Brizi,

“sul vino vince il territorio e l’ambiente anche umano, più che il vitigno, a differenza di quanto accade per l’olio”.

Con l’assaggio del Torre del Piano, il vino tra i più premiati dell’intera Cantina, il Cesanese del Piglio Docg lasciato invecchiare qualche mese in barrique di rovere della Slavonia sprigiona tutto il suo sentore vulcanico che gli deriva dall’essere coltivato nel catino ai piedi del Monte di Acuto, vicino alla zona deve viene coltivata l’Olivella. E’ il vino più rappresentativo del Casale della Ioria, quello che riassume tutti gli altri in una sorta di “Progetto Chateau”: un vino davvero iconico, copiato da molti, che si distingue per il livello qualitativo molto più elevato e la maggiore cura soprattutto della parte gustativa.

Michela Nicolais

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